C’è un punto, affacciandosi da uno dei belvedere sopra il canyon del Sil, in cui l’occhio smette di cercare un appoggio sicuro. La parete scende quasi verticale verso l’acqua, eppure le vigne sono lì: incollate alla roccia, come se qualcuno le avesse disegnate con ostinazione contro ogni logica fisica. È in quel momento che capisci che la Ribeira Sacra non è una regione vinicola nel senso consueto del termine: è una condizione mentale, un esercizio di equilibrio.
Arrivare qui, nel cuore profondo della Galizia, non significa semplicemente visitare un territorio, ma accettare che il ritmo sia imposto dalla geografia. Le strade si avvitano, i boschi di castagni si aprono all’improvviso su anfiteatri di pietra e granito. Il vino, in questo scenario, non è mai un protagonista isolato: è la conseguenza liquida di questo paesaggio.
Il nome “Ribeira Sacra” compare per la prima volta nei documenti medievali. “Sacra” non per retorica turistica, ma per densità spirituale: tra il X e il XIII secolo, queste rive ospitavano una delle più alte concentrazioni di monasteri d’Europa. Benedettini e cistercensi scelsero questi luoghi remoti per il silenzio, certo, ma anche per l’acqua e la vite. Coltivare qui era, già allora, una forma di disciplina monastica.
La geografia è dominata da due fiumi che definiscono due anime diverse. C'è il Sil, che incide canyon profondi e spettacolari, scavando la roccia con violenza; e c'è il Miño, più ampio, più disteso, dalle pendenze appena più dolci. Le vigne si arrampicano lungo entrambi, ma è sulle sponde del Sil che la viticoltura assume tratti quasi irreali. Le pendenze superano spesso il 50% e ogni intervento deve essere manuale. Qui la parola “meccanizzazione” è un’utopia: si lavora di braccia, schiena e, talvolta, con sistemi di rotaie che ricordano le miniere più che l'agricoltura.
Parlare di “viticoltura eroica” rischia spesso di sembrare un cliché da brochure, ma in Ribeira Sacra il termine conserva una concretezza brutale. I muretti a secco che sorreggono le terrazze (i bancales) non sono decorativi: sono l’unica infrastruttura che impedisce alla montagna di franare a valle. Senza di loro, il bosco si riprenderebbe tutto in pochi anni.
Nella sottozona di Amandi, forse la più celebrata, le vigne guardano il fiume dall’alto, esposte a sud, catturando ogni raggio di sole in una regione altrimenti atlantica e piovosa. Qui il Mencía – il vitigno rosso simbolo della zona – trova maturazioni complete, mantenendo però quella tensione elettrica che è la cifra stilistica della Galizia. I vini non cercano i muscoli o la concentrazione del legno nuovo: cercano traiettorie. Sono vini agili, ma di una profondità disarmante.
Negli ultimi vent’anni, la zona ha vissuto una rinascita silenziosa. Una nuova generazione di produttori ha recuperato vecchie vigne miste, rifiutando le scorciatoie dell'omologazione internazionale. Cantine di riferimento come Guímaro o Dominio do Bibei hanno tracciato la strada: meno interventismo in cantina, più ascolto del luogo. Lavorano per sottrazione, lasciando che nel bicchiere finisca la pietra, non la tecnica.
Non è solo il Mencía a raccontare questa terra. Nelle parcelle più vecchie sopravvivono varietà autoctone preziose come il Brancellao, il Sousón, il Merenzao. Uve capricciose, che aggiungono spezie e complessità ai blend. E poi i bianchi: il Godello qui trova una versione più austera e tagliente rispetto alla vicina Valdeorras. Meno opulenza tropicale, più verticalità e sale.
C’è una sensazione ricorrente degustando questi vini in loco: una sorta di "vertigine minerale". È come se la ripidezza del terreno si traducesse in una sapidità scoscesa, immediata, che pulisce il palato e invoglia al sorso successivo.
Al tramonto, quando il sole cala dietro le creste e il Sil diventa una lama scura, la Ribeira Sacra rivela il suo tratto più autentico. È un territorio che resiste alla semplificazione, scomodo da lavorare e difficile da raggiungere. Non si presta a diventare una moda passeggera. Ed è forse questa la sua salvezza: in un mondo del vino che spesso urla, qui tutto avviene a bassa voce. Le vigne restano sospese tra cielo e acqua, e il vino racconta una storia antica che non ha nessuna fretta di finire.